Sorprendente è la continuità storica di questa antica arte nel territorio della Città di Acquapendente. Maggiormente documentati sono i secoli XV e XVI, quando il livello produttivo e qualitativo delle produzioni locali assume notorietà e importanza nazionale e si sviluppano le esportazioni verso i mercati di grandi città (Firenze, Napoli, Roma, Salerno). Fiorente è anche il periodo della maiolica arcaica medievale: una tipica produzione locale si afferma con manufatti originali e innovativi.
Il primo ‘600 è caratterizzato da buoni livelli di produzione e ancora alta incidenza lavorativa, ma dalla metà del secolo comincia una inesorabile decadenza. Nel ‘700 e ‘800, le testimonianze si fanno più rare e sporadiche. Il Novecento segna, invece, una ripresa dell’attività.
Le prime testimonianze scritte sono un atto rogato in Acquapendente il 23 maggio 1341, che riguarda un certo Bonvento, figlio di Bucio orciolaio aquesiano, e un atto del 16 maggio 1363, stipulato ad Acquapendente tra Luca di Benigno e Angelo di Paravento. Numerosissimi i ritrovamenti nel sottosuolo della città, molti dei quali, per unicità di forme, decori e tipologie, rappresentano sicura testimonianza di produzioni locali.
Uno dei reperti più rappresentativi è il catino nella foto: esso è l’unico manufatto integro, in ceramica arcaica, datato al XIV secolo, che riporta una frase di forma compiuta in italiano antico: “tolle questa frasca p(er) mio amore voleti direto p(er) testo serpente” (figura 1).
Catino. XIV sec.
Per il ‘500, dai rogiti notarili dell’Archivio di Stato di Viterbo – Fondo di Acquapendente, si possono approfondire molti degli aspetti già emersi nei secoli precedenti, che in questi anni hanno pieno compimento e sono il segreto del grande successo della ceramica prodotta in Città. Si può parlare di un sistema messo a regime basato sui seguenti aspetti:
L’importanza delle produzioni ceramiche di questo periodo è ben rappresentata dalla vicenda di tre vascellari: Alberto Bonsagna, Prospero Stelliferi e Bernardino Rubei, tutti aquesiani, che, dopo aver fatto buoni mercati a Roma e Napoli nel 1549, l’anno seguente si imbarcano a Civitavecchia con 22 some di ceramiche da vendere a Salerno, alla fiera di settembre. Salpano agli ordini del barcarolo Baloro Ghaetano ma l’intero equipaggio, il carico e loro stessi sono catturati nella baia di Napoli, il 12 settembre 1550, dai pirati del corsaro Zoppino. Immediate le azioni di soccorso da parte dei parenti con ambasciate a Napoli; è altresì manifestata l’intenzione di inviare ad Algeri emissari per trattare il riscatto.
Date le difficoltà di solcare il Mediterraneo in quel periodo, a causa della guerra dell’imperatore Carlo V contro la flotta ottomana dell’ammiraglio Khair Ad-Din detto il Barbarossa, la vicenda finisce tragicamente. In una lettera del 1551 scritta da Marsiglia, il luogotenente della flotta pontificia Marcantonio Zanne comunica al capitano aquesiano Ettore Biancardi: “il fratello di Theodoro he stato amazato”.
Produzioni vascolari. XIV sec.
Piatto da pompa. XV sec.
Le “Belle” e i manufatti ingobbiati e colorati nei toni del giallo-arancio-ocra caratterizzano il XVI sec.
Donna con i “Cappelloni” su piatto del diametro di cm 30. XVII sec.
Fino a metà ’600, rimane alto il livello produttivo, per poi decadere, comunque senza mai interrompersi. La prima importante riscoperta della ceramica di Acquapendente avviene alla fine degli anni ’20 del Novecento, ad opera di Domenico Fuschini, da poco residente in città. Fuschini, che compare per la prima volta come “antiquario” in un documento datato 27 maggio 1907, dopo il tentativo di acquisto di una fabbrica a Roma nel 1922, grazie all’amore per l’aquesiana Maddalena Salvatori nel 1926 si stabilisce in Acquapendente. Qui impianta una fabbrica di maioliche artistiche negli ambienti adiacenti al convento di San Francesco e alcuni anni più tardi, con il socio Elia Rosa, avvia una nuova produzione: giocattoli, fischietti, presepi e altre suppellettili.
L’attività si interrompe durante il secondo conflitto mondiale e riprende subito dopo, fino agli anni ’50.
L’evoluzione della proprietà è chiara nella lettura del marchio apposto sui manufatti: D. Fuschini tra la fine degli anni ‘20 e i primi anni ’30, Fuschini e Rosa poi Fuschini Rosa & Figlio, infine Rosa negli anni ‘50.
Si è intanto formata una nuova generazione di ceramisti.
Testo a cura del Gruppo Archeologico ArcheoAcquapendente
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